Aberdeen e' una di quelle citta' che mi mettono tristezza. La chiamano la silver city in quanto edifici e monumenti sono costruiti con un particolare granito contenente cristalli che, quando illuminati dal sole, luccicano creando uno splendido effetto.
Ad Aberdeen ci sono stato due volte, una a Luglio e l'altra appunto ieri, ed in entrambe le occasioni diluviava. L'effetto luccicante rimane nel mio immaginario: grigi gli edifici, grigio il cielo. Risulta chiaro che silver city e' soltanto un eufemismo: gray city, l'avrei chiamata io.
Dopo il colloqio sono andato a farmi un giro in centro, per sondare cio' che provavo in vista di un possibile trasferimento. Tanta gente che ti urta con gli ombrelli, via principale anonima, con centri commerciali e negozi al posto di edifici storici.
Se mi traferissi li', non vedrei l'ora di andarmene, ne sono certo, o verosimilmente ci vivrei lamentandomi di tutto, sindromandomi.
Se il lavoro fosse stato ad Edimburgo, l'avrei accettato al volo.
Puo' davvero essere una citta' in cui vivo da sei mesi scarsi essere la discriminante di una scelta cosi' importante? Dopo tutto qui non ho legami sentimentali, non ho un lavoro degno di chiamarsi tale ed i veri (o presunti tali) amici si contano sulle dita di una mano.
Il viaggio in treno (3 ore circa) di ritorno mi immerge in questi ed altri ragionamenti, fino all'arrivo alla stazione di Edin, dove mi accoglie l'incredibile caldo clima di questo autunno.
Fuori dalla stazione c'e' il solito barbone che saluto sempre, con i capelli rasta attorcigliati in modo da formare un unico (orrendo) dreadlock.
Salgo sul bus e vedo una conoscente con valigie pronta a trasferirsi; mi racconta dei suoi problemi con il contratto, ma ha trovato un nuovo appartamento nella mia area.
Cambio bus ed incontro la signora non vedente che una volta incontrai per caso, quando mi chiese di aiutarla ad accompagnarla al Tesco. In quell'occasione, dopo 10 minuti la vidi ancora li' al Tesco ferma all'ingresso, mentre quegli imbecilli dei cassieri erano presi dalle lunghe code senza accorgersi di lei; allora rientrai al Tesco e la aiutai a fare la spesa. Quando la rivedo sul bus stavolta, mi avvicino per salutarla, ma la piu' bella sensazione me la da' il suo cane guida, che la prima volta era diffidente quando lo accarezzavo, mentre stavolta e' venuto da me leccandomi la mano, come per dirmi: "Ti riconosco!".
Scendo dal secondo bus ed entro nel supermercatino sotto casa. Alla cassa c'e' Niki, il logorroico cassiere scozzese che attacca bottone con tutti come se li conoscesse da una vita. Gli passo i miei prodotti, lui batte qualcosa sulla cassa e poi mi dice la solita battuta: "Computer says NO", imitando un classico sketch del programma televisivo Little Britain. La prima volta risi, ora saremo alla centesima e l'effetto delle battute ripetute fino alla nausea si fa sentire.
Piccoli incontri che mi fanno sempre piu' sentire parte di questa citta', o quantomeno che rendono meno estranei alcuni dei suoi personaggi.
Nulla in confronto a vecchi amici incontrati nella camminata della tua citta' natale, nulla in confronto ai signori anziani amici di tuo nonno che puoi incontrare nel bar italiano giocando a briscola e parlando il tuo dialetto, ma questo rimane il meglio che finora mi sono saputo ritagliare.
Questo rimane quello che per ora distingue Edimburgo da Aberdeen.
Nessun dubbio: mai cambierei quello che Edimburgo puo' diventare con quello che Aberdeen mai sara'.
Edimburgo e' la citta' che ho scelto io, Aberdeen sarebbe una citta' che ha scelto me.
La gray city puo' aspettare.